I numeri di un’epidemia che farà mezzo milione di morti nei prossimi dieci anni spiegati da Andrew Sullivan.
«Come l’lsd è il simbolo degli anni Sessanta, la cocaina degli anni Ottanta e il crack dei Novanta, l’oppio definisce questa nuova era. La chiamo era perché molto probabilmente durerà a lungo. Le dimensioni del fenomeno sono il segno di una civiltà che sta attraversando una crisi più grave di quanto immaginiamo, di un paese sopraffatto dall’altissima velocità del mondo postindustriale, di una cultura che vorrebbe arrendersi, indifferente alla vita e alla morte, affascinata dall’evasione e dal nulla. Dopo essere stati i pionieri dello stile di vita moderno, oggi gli Stati Uniti stanno cercando in tutti i modi di uscirne». Così Andrew Sullivan sul New York Magazine il 19 febbraio in un grande articolo diventato la copertina dell’ultimo numero di Internazionale. Giornalista conservatore sui generis, gay e cattolico, già direttore di New Republic, Sullivan rintraccia le cause dell’eccidio di massa da papavero e suoi derivati nella storia stessa degli Stati Uniti, «una storia di dolore e di tentativi di mettere fine a quel dolore. È la storia di come l’antidolorifico più antico del mondo è arrivato ad alleviare l’agonia di una delle liberaldemocrazie più evolute».
Una storia d’amore letale: secondo le stime più ottimistiche, nel 2018 gli oppioidi uccideranno 52 mila americani, mezzo milione nei prossimi dieci anni. Non sono doghe da prestazione, ma da sollievo, scorciatoie per mettere fine al dolore fisico, psicologico, emotivo, «perfino esistenziale», se è vero quello che scriveva Jean Cocteau richiamato da Sullivan: «Tutto ciò che si fa nella vita, anche l’amore, lo si fa sul treno che corre verso la morte. Fumare l’oppio è abbandonare il treno in marcia, è occuparsi d’altro che della vita o della morte».
STORIA DI UNA EPIDEMIA. I numeri dimostrano che non esiste paese avanzato più devoto al papavero degli Stati Uniti, dove si consuma il 99 per cento dell’idrocodone e l’81 per cento dell’ossicodone usati nel mondo, e dove si consumano trenta volte più oppioidi di quanti ne servirebbero per curare una popolazione di circa trecento milioni di abitanti. Sullivan ripercorre le tappe della sua diffusione in battaglia, tra milioni di reduci di guerra e mogli, sorelle e madri che, distrutte dal dolore cercarono rifugio nell’oblio provocato da sostanze usate anche come rimedi casalinghi. «Nel 1870 negli Stati Uniti l’oppio era più usato di quanto lo fosse il tabacco nel 1970». Il tentativo di raffinare l’oppio fino a farne un antidolorifico che non desse assuefazione produsse in fretta la morfina e poi l’eroina, «entrambe create da medici e farmacologi che operavano nella massima legalità e a fini umanitari». A metà degli anni Novanta arrivò l’ossicodone, farmaco a rilascio lento che «elimina i passaggi improvvisi dall’euforia alla depressione, perciò i ricercatori speravano che potesse ridurre anche il desiderio spasmodico di droga, quindi l’assuefazione. Sulla base di un unico studio condotto su 38 volontari, gli scienziati erano giunti alla conclusione che la grande maggioranza dei pazienti ospedalizzati sottoposti alla cura del dolore con forti dosi di oppioidi non era diventata dipendente, così incoraggiarono un maggiore uso del farmaco».
IL SOGNO DEI TRAFFICANTI. Presto le vittime dell’epidemia dell’Aids iniziarono ad invocare il sollievo promesso dai nuovi oppioidi, le industrie iniziarono una massiccia campagna pubblicitaria, tutto questo in un periodo di tagli alla spesa sanitaria, «fu una combinazione fatale»: il paese fu inondato di farmaci, la domanda aumentò e si creò una nuova popolazione di consumatori di oppioidi, in dosi facili da reperire in maniera del tutto legale. «Ma con il passare del tempo i medici e gli scienziati si resero conto che stavano creando un esercito di tossicodipendenti». Il farmaco non risparmiava dall’agonia della dipendenza e in molti iniziarono a sfruttarla arricchendosi. Diversissimi dallo stereotipo dell’emarginato eroinomane, i nuovi tossici, ragazzi e ragazze promettenti, tutti campi da football e buona famiglia, non giravano per le strade a creare problemi, e anche il canale dello spaccio si era evoluto: niente cartelli della droga, nessuna violenza, pochi rischi, tutto consumato in ambienti famigliari. Nel 1959 arriva il fentanyl, oppioide altamente concentrato, cinquanta volte più potente dell’eroina: il suo potere antidolorifico ha certamente rivoluzionato la chirurgia e la riabilitazione e salvato vite, «ma nella sua forma grezza è una delle droghe più pericolose che gli esseri umani abbiamo mai concepito» ed è il sogno dei trafficanti, «un chilo di eroina può rendere 500mila dollari, un chilo di fentanyl ne vale 1,2 milioni».
IL NUOVO VIETNAM. Il problema del fentanyl, fabbricato in Cina e venduto nel dark web, è che è praticamente impossibile dosarlo correttamente, «a causa della sua composizione microscopica bisogna tagliarlo con altre sostanze per poterlo iniettare, e tagliarlo significa giocare con il fuoco. Basta l’equivalente di pochi granelli di sale per toccare il cielo con un dito, ma qualche granello in più può uccidere». Eppure è talmente piccolo e prezioso che è impossibile impedire che entri in America e così dall’intossicazione di massa si è passati alla morte di massa: «Durante l’ultima epidemia di eroina, portata a casa dai reduci del Vietnam, i casi di overdose erano 1,5 ogni diecimila statunitensi. Oggi sono 10,5. Il 2 per cento di tutta l’eroina sequestrata nel 2015 nel New Jersey conteneva fentanyl. Oggi il dato supera il 30 per cento. Dal 2013 le morti per overdose da fentanyl e da altri oppioidi sintetici sono aumentate di sei volte, superando quelle dovute a ogni altra droga».
LA NARCOSI DELL’ANIMA. Un’epidemia senza obiettivi scientifici, se per l’Aids si trattava di trovare farmaci per impedire al virus di replicarsi, per la dipendenza da oppioidi infatti non ci sono potenziali cure in vista. E l’epidemia dilaga, stati rurali come New Hampshire, Ohio, Kentucky e Pennsylvania hanno superato le grandi metropoli per uso e abuso di eroina, e la dipendenza si è diffusa rapidamente nei quartieri, nei luoghi senza speranza. Sullivan riflette sul senso della dignità perduto con l’arrivo dell’automazione dalle classi operaie che provvedevano al mantenimento della propria famiglia, sul crollo della stabilità dei legami famigliari, sulla percentuale di statunitensi che dichiara di non avere nessuna affiliazione religiosa che ha raggiunto livelli record. «Se Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli, ormai siamo in una nuova fase della storia dell’occidente in cui è l’oppio a essere la religione dei popoli». Ecco perché il papavero, la narcosi che sta riempiendo il vuoto del cuore e dell’anima vincerà sempre. «Ma stavolta il pericolo non è solo quello della dipendenza. Come non era mai successo nella storia dell’umanità, i figli chimicamente modificati di quel fiore tenace portano con sé la morte. Sono gli agenti dell’oscurità eterna. E c’è ancora molta strada da fare, e molti cadaveri da contare, prima di rivedere la luce».
Tempi.it, 4 maggio 2018