Il 22 agosto 2005 la vita di Giusy Versace cambia completamente. Sulla Salerno-Reggio Calabria resta coinvolta in un incidente stradale e, nell’impatto con il guardrail, perde entrambe le gambe, successivamente sostituite da protesi. È divenuta, grazie alla sua forza, atleta paralimpica, conduttrice televisiva, attrice teatrale e ballerina. Ci tiene a sottolineare di esserci riuscita per il sudore, la fede e la determinazione versata. L’abbiamo incontrata per parlare di disabilità, limiti e media.
La sua vita è cambiata completamente dall’estate del 2005 a causa dell’incidente in cui è rimasta coinvolta. Come ha trovato la determinazione a non arrendersi?
L’amore per la vita ha giocato una componente rilevante. Il giorno dell’incidente non ho perso i sensi e la voglia di vivere ha prevalso sulla paura di morire. Ho talmente voluto aggrapparmi alla vita che, quando mi sono svegliata dal coma, non ho provato rabbia, ma una grande gratitudine verso Dio. Ero viva, mi batteva il cuore e mi funzionava la testa. La tragedia, poi, ha sconvolto tutto. Ho impiegato due anni per abbandonare le stampelle. Sono stata circondata da tanto amore, ho avuto accanto una schiera infinita di persone che hanno creduto in me e sono diventate le mie stampelle.
Disabilità. Lei è la prova del superamento dei limiti che quella parola contiene. La sua esperienza è un esempio per gli altri a non arrendersi mai, nonostante le difficoltà. Pensa che un disabile abbia nei confronti di se stesso dei pregiudizi che lo limitano?
I limiti ce li poniamo noi. Io stessa sono l’esempio di come la vita possa sorprendere. Se dieci anni fa mi avessero fatto l’elenco delle cose che sarei riuscita a fare, non ci avrei creduto. Ho vissuto alla giornata ponendomi piccoli obiettivi. Sono una persona curiosa che ama le sfide, mi sono buttata. Lo sport mi ha aiutato ad alzare l’asticella, a darmi rigore e disciplina, ad insegnarmi a rialzarmi qualora fossi caduta. Ho avuto la fortuna di incontrare Andrea Giannini, fondamentale nel mio percorso di atleta. Andrea non mi ha mai trattata come se mi mancassero le gambe. Sono sempre stata determinata e non mi sono mai tirata indietro, pronto a pormi ogni volta nuovi obiettivi. Molti vivono con vergogna il proprio stato e non escono. Lo sport, per chi convive con una disabilità, può essere la scusa per uscire di casa. A tutti i livelli, è una terapia. Poi, si può scegliere se praticarlo a livello agonistico o meno. Io ho iniziato per curiosità: mi ero dimenticata cosa significasse correre. Ho scoperto di essere la prima donna in Italia a correre senza due gambe e mi sono posta sempre più sfide. Se guardo indietro, mi meraviglio io stessa. Mi fa piacere essere di stimolo per altri. Se si fa qualcosa di bello e lo si condivide, ciò assume valore. Ho fondato una Onlus per raccogliere fondi e garantire ad altri l’opportunità offerta a me. Lo Stato non copre ausili evoluti. Di conseguenza, lo sport resta un lusso e non un diritto.
Nella società esistono ancora tanti stereotipi nei confronti dei disabili? Qual è la mentalità nei confronti dell’handicap?
Parlerei di ignoranza, non in senso offensivo, ma di non conoscenza. Le cose sono cambiate. I media danno più visibilità. Noi atleti paralimpici siamo più seguiti e attenzionati. Ci sono io, c’è Alex Zanardi, la piccola Bebe. Prima di noi, ce ne sono stati altri che non hanno avuto la stessa esposizione mediatica. Per accendere i riflettori è dovuto arrivare Pistorius. La cosa positiva è che i media ne parlano. Ciò è importante perché la gente impara a conoscere. Non sapevo esistesse il movimento paralimpico quando è successo l’incidente. Nel mio piccolo, ora cerco di garantirgli visibilità organizzando eventi, attraverso la Onlus, che consentano l’integrazione. Ad esempio, la Scarpa d’Oro a Vigevano, una mezza maratona. Sono 5 km non competitivi per disabili e non. Il più delle volte è chi non vive la disabilità che corre accanto al disabile o spinge la sua carrozzina. Queste manifestazioni aiutano i ragazzi a non sentirsi isolati. Certo, di base serve una famiglia, coraggio, fede, amore per la vita. Il percorso non è semplice. Ma la vita è bella. Commetterei un peccato a lamentarmi solo perché ho due gambe finte.
Si è mai sentita vittima di pregiudizi? Lo è ancora adesso?
Nel libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque” racconto di un episodio al mare che continuo a ricordare. Uscita dall’acqua, mi sono seduta. Invece di indossare le ciabattine, ho tolto e poggiato le gambe. Per me è una cosa normale, ma la gente non è abituata a vedere. Una bimba incuriosita è stata allontanata dalla madre che le ha messo le mani sugli occhi. In quel momento mi sono sentita un mostro. E’ stato come ricevere una pugnalata allo stomaco. Ma perché mi dovrei vergognare? I bambini guardano con curiosità. Quando vado al campo, mi guardano, si avvicinano, mi rivolgono le domande più strane. Se spieghi ai bimbi la disabilità come fatto normale, la percepiranno come tale. Laddove ti metti a nudo, come al mare, e gli occhi guardano, basterebbe che la gente adulta cambiasse le lenti degli occhiali con cui guarda.
Che ruolo hanno i media, in particolare la televisione? In che modo viene rappresentata la disabilità?
Le cose sono cambiate anche grazie a voi, ai media, a come raccontate il nostro mondo. Si guarda ai disabili non per ciò che a loro manca, ma per quello che riescono a fare nonostante la menomazione. Ci sono ragazzi che mi fermano e mi abbracciano come se fossi un’amica. Mi commuovono, mi scrivono lettere. Noto che, a volte, nei selfie con me, trema loro la mano, come fossi Beyoncé. Ma io ho solo amato la vita e accettato le sfide che potevano stimolarmi. Non può che farmi piacere se i ragazzi, oltre ad avere il poster di un cantante, possiedono anche quello di un atleta paralimpico. Anni fa non era nemmeno pensabile.
In un’intervista ha dichiarato che il suo sogno è abbattere l’ignoranza e la cattiveria della gente. Com’è possibile?
Siamo sulla buona strada, ma bisogna lavorare sulle nuove generazioni. Sono loro che, crescendo, aiutano a cambiare la mentalità verso l’handicap. Sugli adulti è difficile, anche se molti hanno cambiato le lenti di cui parlavo prima. Le cose cambiano e stanno cambiando. Di recente, a Milano, c’è stato il Wall of dolls, un evento organizzato in occasione della settimana della moda. È un muro simbolico contro la violenza sulle donne. Sono stata uno dei tanti testimoni. Anni fa portai la mia bambolina: è una barbie a cui ho fatto amputare le gambe e realizzare delle protesi con cristalli Swarovsky. Sono tanti quelli che vogliono sapere dove si possa comprare questa bambola. L’ha chiamata Giusy-doll una ragazzina: mi ha confessato che, mentre le sue amiche avrebbero cambiato le scarpe alle loro bambole, lei le avrebbe cambiato le gambe.
Arriviamo al suo libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque”. Che significa questa frase?
Significa tutto. Il sottotitolo è “Le gambe ti accompagnano”. Se hai testa forte e cuore pulito puoi andare dove vuoi. Ho conosciuto persone con disabilità più grandi che girano il mondo e fanno una vita estrema, cose a cui nemmeno si crede. Esistono le barriere, ma è anche vero che, spesso, sono quelle mentali che ti impediscono di fare. Ho insistito con Mondadori per il titolo perché credo che si possa andare dappertutto, il resto è contorno. Si può avere la strada più o meno facile a secondo del proprio handicap, ma i limiti li pone la testa.
Da cosa è stata dettata la scelta di portarlo in scena a teatro? Ci racconta di cosa parla? Che messaggio vuole lanciare?
Il libro è un diario in cui racconto il mio percorso cercando di spiegare ciò che ho trovato fuori, dietro la tragedia. Era un momento in cui tanti mi attaccavano per il mio essere una Versace. In realtà, ce l’ho fatta perché ci ho creduto, ho pianto, sudato e lavorato duramente. Racconto il dolore, la paura, la grande determinazione, la fede. L’idea di portarlo in scena è nata per caso dopo la mia partecipazione a Ballando con le stelle. Io e Raimondo abbiamo continuato a ballare, ci era stato chiesto di inventarci qualcosa e ho pensato di raccontare la mia storia intervallata con balli e musica. È stato un esperimento coronato da un grande successo. Quest’anno, con Edoardo Sylos Labini, che ha curato la regia, siamo riusciti a renderlo molto più teatrale. È divenuto uno spettacolo di prosa, musica e danza. È un’altalena di emozioni, com’è il libro e com’è la mia vita. Sono raccontate cose forti, intervallate da aneddoti divertenti. Il pubblico reagisce, ride, piange, applaude. La tournée continua perché abbiamo confermato le tappe a Roma, Firenze e Bologna. Speriamo di portarlo a Norcia nelle zone colpite dal terremoto, dove si deve ricominciare daccapo. Mi piace contagiare le persone positivamente con quello che ho fatto, l’obiettivo è quello di portare alla gente la mia energia. Vedo tanti che si buttano a terra, ma la vita è fatta di tante altre cose. Ho scritto il libro in una parte della vita in cui dovevo sottopormi a interviste e presenziare a incontri, ma non potevo, ovviamente, essere ovunque. Il libro è nelle mani delle persone a cui non posso arrivare.
Come può contribuire un’autobiografia come la sua alla rimozione dei pregiudizi sulla disabilità? Può contribuire perché aiuta a riflettere, se c’è un minimo di volontà. Tante cose si danno per scontate. Mi fa piacere quando le persone mi ringraziano. Quando mi dicono che, dopo lo spettacolo, hanno il cuore pieno, significa che abbiamo fatto centro. L’obiettivo è di regalare l’opportunità di riflettere su quale grande dono sia la vita e apprezzarla così com’è. Ognuno affronta le sue difficoltà, la vita non è perfetta, ma siamo noi a renderla perfetta a seconda di quello che desideriamo.
Alice Pagani
30 aprile 2018