Non è paradossale che il principio della sacra libertà sul fine vita sia stato nei fatti scardinato e contraddetto fin dalla prima applicazione? Il caso di Modena .
Ci eravamo già chiesti se l’assolutizzazione del diritto all’autodeterminazione fosse una valorizzazione della libertà o la uccidesse definitivamente. Lo scudo della libera scelta sancita dall’approvazione delle Dat non avrebbe dovuto arginare ogni deriva paternalistica sul fine vita? Non era la vittoria delle garanzie fondamentali della persona, dopo undici anni di battaglie per la dignità e la libertà di tutti? E non è paradossale che tale principio sia stato nei fatti scardinato e contraddetto fin dalla prima applicazione della legge sul biotestamento?
IL CASO DI MODENA. È accaduto a Modena, dove il padre ultraottantenne di una donna da mesi ricoverata in coma all’ospedale di Baggiovara, è stato nominato dal giudice tutore della figlia, ad oggi incapace di esprimere le sue volontà. Tocca quindi al padre diventare interprete delle stesse, perché la donna, le sue disposizioni anticipate di trattamento in materia di cure da affrontare o meno, ed espresse sulla base di conoscenze precise e circostanziate, non le ha mai date. Non le ha date perché non le ha scritte e in mancanza di biotestamento scritto, ha deciso il giudice, deve essere un tutore a decidere per lei. Occupandosi di questioni patrimoniali, ma soprattutto agendo nel suo «migliore interesse» e ricostruendo le volontà della donna quando ancora era in grado di esprimersi.
UN NUOVO PATERNALISMO. Non sappiamo cosa deciderà il padre, quello che sappiamo è che a Modena nei giorni scorsi è stata segnata una vittoria sì, ma dell’autodeterminazione delegata all’arbitrio di un terzo, altrimenti chiamata, laddove il padre decidesse di interrompere i supporti vitali della figlia, eutanasia di non consenziente, non essendo di fatto il paziente a decidere. Non solo dunque per la prima volta nel nostro ordinamento viene applicata una legge che afferma in modo esplicito il principio della disponibilità della vita umana contro quello della sua indisponibilità inscritto nella Costituzione e nel complesso delle leggi ordinarie, all’interno di una tradizione ininterrotta di civiltà giuridica. Non solo: la legge, così applicata a Modena, ha fatto un passo in più, dando vita ad una nuova forma di paternalismo, con finalità questa volta rischiosamente eutanasiche.
PROSSIMA TAPPA, L’EUTANASIA. Perché «non è detto che sempre le cose vadano lisce come nella vicenda di Modena: perché ci può essere un giudice meno determinato; o perché non tutti i familiari sono d’accordo sulla scelta del tutore; o ancora perché fra di loro possono insorgere divergenze sulle terapie o sulla loro interruzione» (scrive il Fatto Quotidiano), per questo, l’Associazione Luca Coscioni, ha lanciato il 21 aprile in 120 piazze italiane una doppia raccolta firme: la prima per richiamare l’attenzione sulla “necessità” di compilare e depositare il proprio biotestamento, la seconda per chiedere l’immediata calendarizzazione, come primo provvedimento della nuova legislatura della proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia.
Complicato infatti tutelare «un diritto umano imprescindibile», come «quello di esser liberi di scegliere e di poter morire in linea col il personale concetto di dignità» se è l’applicazione della legge stessa a svelare l’inganno dell’autodeterminazione, riportando tutto nelle mani di un terzo. Complicato anche però continuare a chiamarla conquista di civiltà dopo undici anni di battaglie: a due mesi dall’approvazione – l’ha svelato l’inchiesta di Francesco Ognibene su Avvenire – le domande di biotestamento depositate in sei grandi città italiane erano 473 su 7.149.304 abitanti. Pari allo 0,00661 per cento.
Caterina Giojelli
Tempi.it, 11 maggio 2018