l cambio di strategia comunicativa dei movimenti pro family e pro life sta provocando la reazione liberticida del potere. A scandalizzare, dei manifesti sull’aborto di CitizenGo e ProVita, è la loro razionalità perché viviamo in un’epoca in cui la ragione è stata espulsa per nascondere la verità. Ma essa però si impone con la forza delle immagini e non con la violenza delle campagne pubblicitarie che hanno modificato la cultura. La stessa verità con la quale la Chiesa, nell’arte ha veicolato immagini in presa diretta per educare i fedeli.
Il deciso cambio di strategia dei movimenti pro family e pro life in fatto di campagne comunicative sta provocando una reazione liberticida da parte delle istituzioni. Che si tratti di uffici comunali che ritirano le immagini, come nel caso del manifesto di CitizenGo che ricorda che l’aborto è la prima causa di femminicidio o di Procure della Repubblica sollecitate come nel caso della gigantografia di ProVita che fa memoria a tutti i passanti di essere stati un embrione, poco importa.
Anche perché l’offensiva è destinata a proseguire a lungo: a Genova ad esempio, solo ieri contro il manifesto di ProVita hanno pensato di dire la loro sindacati e partiti e non si è ancora spento l’eco del Bus della Libertà che ha portato in giro per l’Italia scortato dalla polizia la frase scontata che i bambini e le bambine hanno bisogno di una mamma e di un papà. E nuove iniziative si aggiungeranno con manifesti e camion vela.
C’è in questa campagna una costante: a dare fastidio è quel mix di immagini e frasi tale da mandare in corto circuito un potere che con l’arroganza della censura mostra la sua debolezza. Eppure si tratta di immagini innocue: un bambino nel grembo materno, una donna incinta che il suo uomo abbraccia, bambine e bambini stilizzati e per nulla riconoscibili. Innocue, ma che possiedono una forza intrinseca, una forza che parla da sola, indipendentemente dal contesto. Viene a mente la profezia di Chesterton: “Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. E in effetti è proprio questo che sta accadendo: spade si stanno sguainando per dimostrare che un essere umano è stato un embrione e che un feto di bambina abortito è un femminicidio in atto.
Come sono lontane le reazioni edulcorate e indifferenti che il Movimento per la vita utilizzava anche solo alcuni anni fa per le sue campagne con mamme in dolce attesa e famiglie felici. Eppure si tratta delle stesse immagini. Solo che ora queste immagini sono entrate nell’alveo della provocazione perché per imporre l’aborto come diritto inalienabile bisogna sotterrare prima di tutto la verità.
Il deciso cambio di passo comunicativo di realtà molto attive come CitizenGo o ProVita Onlus utilizza una strategia simile, ma opposta, a quelle che di cui i pubblicitari degli anni ‘80 si servivano per reclamizzare prodotti con campagne di immagine spregiudicate e al limite della provocazione. Campagne di immagini choccanti che, mentre catturavano l’attenzione con un’immagine sconveniente veicolavano, oltre che il prodotto anche un messaggio destinato a incidere profondamente nel cambiare la mentalità su vita e famiglia.
Come non ricordare le campagne choc di Oliviero Toscani con il bacio tra il prete o la suora? O quelle multicult della nota casa di abbigliamento? E ancora: baci saffici, famiglie irregolari, figli come oggetto. In questi anni la pubblicità ha veicolato immagini ben più choccanti per modificare la cultura. Tutto questo è stato possibile perché anche queste immagini possiedono una forza.
Ma non si tratta di una forza intrinseca, bensì di una violenza. La violenza che prim’ancora di esercitarsi nelle coscienze, si esercita nell’inconscio per preparare il terreno.
E’ esattamente il contrario di quello che queste campagne pro life vogliono fare: utilizzare una forza che si imponga prima di tutto sulla ragione, preservando così la coscienza e risvegliandola nei casi di torpore.
E’ dunque un problema di ragione.
Secondo Armando Fumagalli, docente di cinema e spettacolo all’Università Cattolica di Milano “è evidentissimo che l’opposizione a questi manifesti è puramente ideologica e totalmente irrazionale. Proprio perché semplicemente dice una cosa vera, non costruisce niente di finto o di volutamente provocatorio nel senso di costruito. Se provoca è solo perché una verità è stata cancellata ideologicamente e non si vuole vedere la verità”.
Occorre dunque ricostruire questo tessuto razionale con immagini che educhino alla verità? Anche suor Gloria Riva ne è convinta. I suoi occhi splendono perché con essi vede tutto il giorno il Gesù Sacramentato e perché nella storia dell’arte ha visto quei semi di verità di cui ogni uomo ha bisogno.
“L’immagine ha una forza in sé intrinseca – spiega alla Nuova BQ -. Nelle immagini vengono introdotte idee in pillole che possono costruire bene o male. Oggi questa è l’anima della pubblicità, ma l’uomo se n’è sempre servito. E la Chiesa nel corso della storia ha utilizzato le immagini proprio con questo scopo: enunciare una verità proprio quando essa veniva colpita”.
Infatti, un buon parallelo che indica come le campagne “choc” di questi giorni abbia un fondamento, se vogliamo anche teologico, lo si trova nella lotta alle eresie nel corso dei secoli: la Chiesa ha attinto a immagini di “rottura” per veicolare una verità che in quel momento veniva colpita o non compresa.
“Pensiamo alla lotta contro i Catari. Siamo nell’anno Mille e la Chiesa ha utilizzato proprio le immagini per contrastarla. Nella nostra regione, soprattutto quella del Ticino, moltissime Ultime cene sono state realizzate con la presenza del gambero di fiume. Si tratta di una specie molto presente nei nostri corsi d’acqua. E’ grigio e limaccioso e spesso non si vede, ma quando viene passato al fuoco della cottura diventa rosso. Ebbene: il gambero è l’eresia e quando viene passato sul fuoco di Cristo essa presenta la sua natura diabolica. Con questa immagine molto famigliare per la gente, la Chiesa educava così all’eresia, che si presenta sempre innocua e solo sotto lo sguardo di Cristo mostra la sua natura”.
Ma la storia della Chiesa è piena di queste immagini. Per educare al mistero della Trinità spesso il pesce (che dal greco è anagramma del Cristo) è presentato come tagliato in tre parti, ma anche l’immagine del diavolo aveva una presa diretta sul fedele: “Quando nasce il nuovo mondo e inizia l’importazione dei primi coccodrilli in Italia si afferma l’immagine dell’animale esotico come immagine del Leviatano che viene sconfitto dal percorso mistagogico del credente. Il fedele che entra in chiesa lascia alle spalle i suoi demoni e arriva alla santità. Ecco perché in molte chiese c’è il coccodrillo, come ad esempio nel santuario delle Grazie a Mantova”.
Significativa l’immagine dell’ananas anch’essa importata dal nuovo mondo e rappresentata spesso nei piviali. “L’ananas, all’esterno rugosa e repellente ma dentro è dolce, succosa e di un giallo splendente diventa l’immagine della croce e della resurrezione”.
Immagini che si autoaffermavano nella mente del fedele senza particolari spiegazioni. E che vengono riprese anche in epoca moderna da geni come Gaudì. Gaudì parte dalla constatazione che le grandi cattedrali medievali avevano al loro interno la grande narrazione della storia di amore di Dio con l’uomo e della salvezza. Ma già all’epoca dell’artista spagnolo capisce che la gente non sarebbe più entrata in chiesa. Così, cosa fa? “Butta fuori la narrazione e pensa alla Sagrada familia come a una narrazione del mistero tutta esterna. Dentro c’è la celebrazione del cosmo e Cristo è l’amen della storia, ma Gaudì ha capito che il messaggio deve essere portato fuori, alla vista di tutti perché di fronte ad un uomo che ha perso la fede le immagini di verità vanno messe in evidenza prim’ancora che lui decida di entrare. E’ un concetto rivoluzionario e salvifico. Che si propaga proprio con la forza dell’immagine”.
Esattamente come oggi dove la salvezza si impone senza violenza, ma con la forza di un’immagine vera. Un bambino e una mamma. Niente di più reale, niente di più scandaloso.
Andrea Zambrano
La Nuova Bussola, 17 Maggio 2018