Secondo l’indagine, crescono i giocatori d’azzardo nella popolazione adulta (15-64 anni) mentre diminuiscono in quella studentesca (15-19 anni). Nel corso del 2017 hanno giocato almeno una volta oltre 17 milioni di italiani (42,8%), contro i 10 milioni del 2014 (27,9%), e tra questi oltre un milione di studenti (36.9%), in calo rispetto agli 1,4 milioni (47,1%) di otto anni prima.
Aumentano i giocatori d’azzardo nella popolazione adulta (15-64 anni) mentre diminuiscono in quella studentesca (15-19 anni). Nel corso del 2017 hanno giocato almeno una volta oltre 17 milioni di italiani (42,8%), contro i 10 milioni del 2014 (27,9%), e tra questi oltre un milione di studenti (36.9%), in calo rispetto agli 1,4 milioni (47,1%) di otto anni prima. A rivelarlo gli studi Ipsad® ed Espad®Italia dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr). “I dati – sottolinea mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura – confermano che l’azzardo aumenta tra gli adulti in età di lavoro ma che lo hanno perso e, quindi, tra le persone disperate”. La diminuzione tra i giovani, secondo d’Urso, è anche “frutto del grande lavoro di prevenzione che stiamo facendo nelle scuole e nelle parrocchie attraverso iniziative di informazione e formazione. I ragazzi iniziano a capire che l’azzardo non è un divertimento sano”. Sui dati diffusi dal Cnr riflettiamo insieme a Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, presidente onoraria di And-Azzardo e Nuove Dipendenze.
Come possiamo interpretare l’aumento dei giocatori d’azzardo nella popolazione adulta e tra di loro quelli problematici?
L’ipotesi di spiegazione più plausibile è quella che, all’aumentare dell’offerta, siano aumentati i “consumatori” di giochi d’azzardo e conseguentemente se più persone giocano, più persone svilupperanno problemi. Se sempre nuove persone vengono arruolate, sempre più persone corrono il pericolo di restare “avvinghiate”. Anche perché l’offerta indiscriminata mette a contatto chiunque con questa attività rischiosa per la salute, senza filtri protettivi.
Diminuiscono gli studenti che giocano d’azzardo, anche tra i cosiddetti problematici, dall’8,7% dei giocatori del 2009 ai 7,1% del 2017, in particolare nelle regioni del Centro e Nord Italia: cosa ha inciso positivamente per i giovani?
Onestamente non vorrei azzardare tesi a riguardo. Stiamo parlando di un fenomeno complesso. È possibile che trattandosi di una nuova forma di consumo stiamo assistendo a un processo di stabilizzazione della prevalenza. Anche all’estero la ricerca dimostra che dopo un boom iniziale si assiste a un assestamento. In ogni caso, un tasso del 7% non è trascurabile in questo stadio evolutivo, considerando l’incidenza negativa del disturbo da gioco d’azzardo sulla progettualità personale di chi ne è colpito.
Dell’indagine del Cnr colpisce anche che il 39,1% dei giocatori intervistati ritiene sia possibile diventare ricco con l’azzardo se si hanno buone abilità, convinzione ancora più diffusa fra i problematici, 48,3%. Da cosa nascono queste convinzioni errate e come combatterle?
Questi pensieri sono tra i più frequenti errori di comprensione del reale funzionamento di questa tipologia di attività: confondere caso e abilità, come pure nutrire attese di vincita praticando un gioco d’azzardo si legano all’illusoria impressione di influire sul risultato conoscendo le regole del gioco o applicando strategie, come pure a scarse nozioni probabilistiche. Di certo, non aiuta consentire pubblicità che amplifichino queste percezioni illusorie, né aiutano notizie di vincite mirabolanti diffuse a mezzo stampa. Già evitarle sarebbe un primo piccolo passo per non alimentare queste trappole cognitive.
Rispetto alla spesa in azzardo, quasi 100.000 persone hanno chiesto denaro in prestito illegale, poco più di 100.000 hanno procurato danni economici ad altre persone e quasi 30.000 hanno subito danni economici in prima persona…
Sono ancor di più i giocatori patologici che hanno chiesto prestiti totalmente legali (e non per questo meno catastrofici) e la ricerca internazionale ha dimostrato che i danni (a sé, agli altri e alla collettività) vengono prodotti da tutte le fasce di giocatori d’azzardo e non solo da quelli patologici. Stiamo parlando di danni a più livelli (finanziari, relazionali, emotivi, in salute, culturali, lavorativi, legali) che si declinano nel tempo (nella fase di gioco costante e non più occasionale, nella fase di crisi, ma anche duraturi anche dopo la cessazione del comportamento di gioco d’azzardo). Certamente il decremento della qualità della vita dei giocatori patologici è il più rilevante in valore assoluto; ma stiamo parlando di una fascia di popolazione limitata: la loro situazione incide per un 18% sull’indice complessivo di benessere. Ma anche tra i giocatori costanti non ancora problematici si riscontra, sebbene in misura meno intensa, il peggioramento del loro benessere e di quello di chi gli è prossimo: quindi, dal momento che in questa fascia ricadono molte più persone, la loro situazione incide per il 34%. Persino i giocatori d’azzardo cosiddetti “sociali”, essendo ancora di più in valore assoluto, contribuiscono con un 48% a questo complessivo peggioramento della qualità della vita della comunità. A questi costi vanno aggiunti anche le spese per trattare le conseguenze della dipendenza da gioco d’azzardo e i costi indiretti, quali, ad esempio, la perdita di produttività a causa dell’abitudine di giocare d’azzardo.
Il 10,8% degli studenti ignora che nel nostro Paese è illegale giocare per gli under 18, d’altra parte solo il 27,1% ha avuto problemi a giocare d’azzardo in luoghi pubblici perché minorenne. Come si combatte disinformazione nei ragazzi, da un lato, e poca attenzione da parte degli adulti, dall’altro?
In un Paese che ha consentito la normalizzazione dell’azzardo come è avvenuto da noi non sarà facile recuperare una situazione che promuova salute e stili di vita sani in questo ambito.
Non è pensabile sostenere la crescita delle giovani generazioni senza un cambio di rotta da parte degli adulti che devono rimanere punti di riferimento e modelli educativi. Senza questo passaggio, e quindi senza che gli adulti stessi mutino i loro comportamenti verso l’azzardo, continueremo a rilevare che è proprio in famiglia – e non con i loro pari – che i ragazzi cominciano a giocare.
Gigliola Alfaro
SIR, 17 maggio 2018