Intervista esclusiva al cardinal Müller
Forse se non avete ancora aperto i giornali potete non saperlo, ma a breve ve lo diranno in tutte le salse, oggi è l’IDAHOT, acronimo delle parole inglesi che servono per dire che è la giornata internazionale contro l’omofobia e tutta quella miriade di sigle per indicare la stessa cosa. Il fuffaday. Già, perché l’omofobia non esiste – non esiste nessuna fobia, nessuna patologia. Esistono invece posizioni culturali che possono legittimamente non essere condivise, ma che hanno un ampio fondamento scientifico e una lunga storia e serie motivazioni, di chi ritiene che l’attrazione verso lo stesso sesso non sia una variante della sessualità umana. Ma siccome nessuno può imporre a nessun altro cosa pensare, l’argomento dovrebbe essere chiuso qui, senza bisogno di giornate mondiali.
Però anche l’IDAHOT a qualcosa serve: è un’ottima occasione per parlare di un libro che esce fra una settimana esatta (ma è già disponibile in ebook), un grande libro di Daniel C. Mattson che si chiama Perché non mi definisco gay, Come mi sono riappropriato della mia realtà sessuale e ho trovato la pace, edito in Italia da Cantagalli con la prefazione del Cardinal Robert Sarah e presentato a Roma e Milano in varie date.
E’ innanzitutto una storia, appassionante e intima, di un uomo che ha il coraggio di mettersi davvero a nudo, senza risparmiare particolari, e di questo gli siamo davvero grati. E’ un grande servizio a chi vive storie simili alla sua, e intuisco il sacrificio che deve essere costato. E’ la storia di un bambino che si sente inferiore agli altri, a disagio, ma che non è sfiorato dall’idea di essere omosessuale, o di avere rapporti con degli uomini:
“La ragione più grande per cui rifiuto di definirmi gay è semplice: penso che non sia oggettivamente vero. Focalizzarsi sui sentimenti porta le persone lontano dalla loro realtà di figli di Dio nati maschi e femmine. Dobbiamo imparare a distinguere la nostra identità dalla nostra attrazione sessuale, dal nostro comportamento. Non è quello che “sentiamo” che deve regolare la nostra vita, altrimenti passeremmo col semaforo rosso solo perché, appunto, ce lo “sentiamo”. Esiste una oggettiva verità che ci protegge, fatta per il nostro bene”.
Vedere come questa storia si evolve è intrigante come un romanzo, e senza rovinare il gusto di leggere posso dire che il contesto culturale e le forti pressioni hanno avuto un grande peso nella storia di Daniel, e in come le ferite della sua storia personale lo hanno portato a scegliere alcune condotte per “ripararsi”. Proprio per questo segue una sezione del libro di acuta, informatissima e intelligente analisi degli strumenti della propaganda omosessualista, che si gioca innanzitutto sulla scelta delle parole – gay e omofobia sono fra queste. Infine c’è la proposta di fede, attraverso la quale si intuisce come in ogni cammino, anche quelli apparentemente davvero pesanti da percorrere, c’è la possibilità di un’intimità privilegiata con Dio.
Il grande ricatto emotivo delle persone che vivono problemi con la propria sessualità è: se non mi accetti come sono, non mi vuoi bene. Quindi sei omofobo. Il fatto che tutti dobbiamo essere accettati come siamo, però, è una delle grandi balle della contemporaneità, di questa grande palude in cui sembra che l’inconscio debba necessariamente e sempre avere libero sfogo. Per millenni l’uomo ha invece avuto in qualche modo la consapevolezza di dover fare un grande lavoro su di sé, di doversi migliorare: prima dell’anno zero questo si traduceva con l’imperativo dell’eroismo, dell’onore, del superare le colonne di Ercole. Dopo l’anno zero, grazie alla redenzione e alla verità che Cristo è venuto a portare all’uomo tutto ciò si è tradotto con “rinnega te stesso” se vuoi veramente “la gioia piena”. Amare quindi non significa mai dire “tieniti i tuoi problemi” facendo pat pat sulla spalla. Questo non è amore. Amare è accompagnare, ma nel cammino verso la verità di ciascuno, non nel nulla. Amare una persona che prova attrazione verso lo stesso sesso non significa avallare le sue convinzioni, ma stare vicini nell’amicizia e annunciargli – se ce lo chiede – la verità.
Abbiamo chiesto al Cardinal Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito per la congregazione della dottrina della fede, la massima autorità quanto alla dottrina della Chiesa, qualche parola netta. Il cardinale presenterà il libro di Mattson a Roma il 25, e ci ha ricevuti a casa, fra un viaggio e l’altro.
Costanza Miriano: Vostra Eminenza, partiamo dall’attualità: domani è la giornata mondiale contro l’omofobia. Sappiamo che la parola è stata inventata in America nel 1971, ma sappiamo anche che le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso a volte davvero vivono nella sofferenza. Noi cristiani, chiamati ad amare tutti, come dobbiamo comportarci su questo tema?
Gerhard Ludwig Müller: L’omofobia, semplicemente non esiste, è chiaramente un’invenzione, uno strumento del dominio totalitario sulla mente degli altri. Al movimento omosessualista mancano gli argomenti scientifici, per questo hanno costruito un’ideologia che vuole dominare, cercando di costruire una sua realtà. E’ lo schema marxista, secondo cui non è la realtà a costruire il pensiero, ma il pensiero che costruisce la realtà. Quindi, chi non accetta questa realtà deve essere considerato malato. Come se, tra l’altro, si potesse agire sulla malattia con la polizia o con i tribunali. D’altra parte in Unione Sovietica i cristiani venivano chiusi nei manicomi: sono i mezzi dei regimi totalitari come il nazionalsocialismo e il comunismo. Oggi in Nord Corea la stessa sorte tocca a chi non accetta il pensiero dominante.
CM: Ci sono alcuni vescovi che hanno appoggiato veglie o altre iniziative “cattoliche” contro l’omofobia. Alcuni ne conosco personalmente e sono per quello che posso capire molto aderenti alla dottrina. Perché secondo lei accettano di stare a questo gioco, perché già accettare la parola omofobia significa accogliere una certa visione ideologica?
GLM: Alcuni vescovi oggi non hanno il coraggio di dire la verità e si lasciano intimidire: non capiscono che l’omofobia è un inganno che serve a minacciare la gente. Ma noi cristiani non dobbiamo avere paura delle minacce: nei primi secoli i seguaci di Cristo venivano gettati in carcere, o fatti dilaniare dalle belve. Oggi si dilania la gente con lo psicoterrorismo, approfittando dell’ignoranza. Però da un vescovo, un sacerdote possiamo aspettarci che sia in grado di non andare dietro a queste ideologie. Noi siamo quelli che cercano, con la grazia di Dio, di amare tutte le persone, comprese quelle che provano attrazione verso lo stesso sesso, ma deve essere chiaro che amare non è obbedire alla propaganda genderista.
CM: Il libro di Mattson dedica un ampio capitolo proprio a smontare le parole della propaganda, a cominciare dal titolo: perché non mi definisco gay. Lei sarà presente alla presentazione del volume a Roma, con l’autore. Cosa ne pensa?
GLM: Mattson è un uomo che basa le sue parole sulla sua propria esperienza, e questo vale più di tutte le ideologie. La sua storia mostra anzi come queste ideologie siano forti ed esercitano una oppressione nei confronti di tutti coloro che hanno problemi con la propria sessualità. Si possono avere problemi per diverse cause, ma la realtà è che si è solo o uomo o donna. Esistono due sessi, questa è la realtà. Il resto sono interpretazioni. Papa Francesco viene molto frequentemente citato nella sua intervista rilasciata in aereo, quel famoso “chi sono io per giudicare…?”. Ma il Papa ha detto la stessa cosa che è nel Catechismo: ogni persona merita rispetto perché è a immagine di Dio, e noi non possiamo usare le persone per nessuno scopo. Ma nello stesso momento Francesco ha parlato di lobby gay. Ed è vero, purtroppo. Noi abbiamo avuto alla Congregazione per la dottrina della fede un collaboratore, si può dire pubblicamente perché lui stesso ha fatto con grande rumore outing, dicendo “io sono gay”, ma non ha mai chiesto nessun aiuto né accompagnamento. Mattson invece al contrario afferma “io non voglio definirmi gay” perché sa innanzitutto che gay è una falsa espressione che esprime disprezzo, e poi perché nonostante questo problema di attrazione verso lo stesso sesso, non è l’attrazione che definisce una persona. Una persona è sempre molto più di questo. Noi siamo creature che grazie alla redenzione abbiamo la vocazione alla vita eterna. E chi vive questa attrazione deve vivere in castità, cosa a cui sono chiamati tutti i cristiani che non vivano in un valido e vero matrimonio.
CM: Perché questo tema occupa i primi posti delle agende politiche dell’Occidente? Sembra che sia la priorità di tutti i governi?
GLM: I nostri politici in Europa devono occuparsi di tante persone che sono senza lavoro, della denatalità, delle famiglie, di tanti problemi seri, e invece si preoccupano di trasformare le nostre democrazie in sistemi totalitari. Le ideologie in sé sono violente. Come può un Parlamento stabilire cosa è vero e cosa no? Come può affermare che due più due fa cinque?
CM: Uno dei tanti passaggi interessanti del libro mette in correlazione la diffusione in massa della contraccezione e l’affermarsi della ideologia genderista. Ne approfitto per farle una domanda su un tema che mi sta molto a cuore. Lei sa meglio di me come nella Chiesa ci siano forze avverse alla Humanae Vitae, che ne chiedono una revisione. Che ne pensa? Come spiega questo fenomeno?
GLM: Lo spiego con la mondanizzazione della Chiesa: per alcuni dei pastori la Chiesa è solo materiale per fare politica, per piacere. Per loro il rispetto delle masse vale più del rispetto della Parola di Dio. Sono contro la creazione. Io paragono chi vuol rivedere HV per compiacere le masse con chi ha fatto i compromessi durante i regimi totalitari. Invece i testimoni hanno la responsabilità della verità rivelata. L’Humanae Vitae è stata profetica, tutti i pericoli che prevedeva si sono realizzati e sono entrati nella vita moderna: il nichilismo, il materialismo. Manca il senso superiore dell’esistenza umana e quindi dietro le facciate c’è il vuoto. Invece il vero piacere è ogni parola che viene dalla bocca di Dio, e se noi smettiamo di annunciare dove è il vero piacere, dove è la vera gioia, saremo responsabili dell’infelicità di tanta gente. Se i pastori non vigilano, vincono i lupi. Con i lupi non si possono fare compromessi, magari per salvare qualche pecora. Con l’illusione di non perdere qualcuno, si perde tutto il gregge. Non è questa la logica di Gesù. Lui per non perdere nessuna pecora ha sacrificato se stesso, non le pecore.
CM: I pastori che aprono alla contraccezione di solito lo fanno ribadendo che è, sì, un male, ma che in casi estremi…
GLM: Questa è solo una tecnica per aprire la strada: si fa un ragionamento solo emotivo, basato su situazioni estreme. Anche in situazioni estreme un buon pastore trova una soluzione unica e particolare per preservare l’intrinseca unità tra procreazione e sessualità. Invece il trucco di teologi e vescovi che attaccano la dottrina è di emozionalizzare… Per esempio cominciano a dire che c’è un padre di quattro figli, che ha perso il lavoro, e la moglie è malata… e allora si fa una discussione sull’onda dell’emotività e del caso singolo. Ma questo non è un modo serio di affrontare le questioni.
Dal Blog di Costanza Miriano
17 maggio 2018