I suicidi, gli omicidi e i femminicidi vanno intesi come atti conseguenti all’estremo dolore provato per la disattesa di modelli assoluti. Il ruolo della psicoterapia.
Caro direttore,
ho seguito il dibattito che si è sviluppato a partire dagli editoriali di Marina Corradi e Giovanni D’Alessandro che lei ha deciso di dedicare su “Avvenire” alla tragedia di Francavilla al Mare, dibattito che si è concentrato quasi esclusivamente sul commento di Corradi. Vorrei complimentarmi con la sua collega: ci vuole una interiorità molto alta per capire il dramma di chi si macchia di sangue. Mi occupo di drammi familiari da decenni e cerco di promuovere consapevolezza su che cosa armi la mano contro gli altri e contro se stessi.
Studi ed esperienza mi portano a dire che alla base di sconvolgenti drammi familiari come quello di Francavilla raramente c’è un problema di “hardware” (qualcosa di fallato nel fisico della persona), solitamente c’è un problema di “software”, cioè di cultura e di mappe mentali che la persona utilizza per orientarsi nella vita al fine di decidere come comportarsi e cosa provare di fronte agli eventi. La realtà è che in questo nostro 2018 troppe persone utilizzano ancora mappe mentali fallate, che inducono a scelte controproducenti, impediscono la resilienza e promuovono intolleranza verso il diverso e le avversità della vita. Mappe mentali infettate da virus che impediscono di attuare nella pratica obiettivi come l’amore, il perdono, l’accettazione di limiti, debolezze e fallimenti.
Mappe che portano a incastrarsi in relazioni soffocanti dove è impossibile attivare il reciproco rispetto. L’intensità del dolore che si prova davanti alle avversità della vita non è “responsabilità” di quelle stesse avversità (è infatti assolutamente inevitabile che nella vita le cose vadano prevalentemente in modo diverso da come si vorrebbe), ma appunto delle mappe mentali che si utilizzano per interpretarle.
Contesti in cui si hanno convinzioni estreme (uno dei peggiori “virus”) sono ambiti di debolezza della persona, perché creano dipendenza e impediscono di piegarsi a un “piano B” (riorganizzare la vita in un modo diverso dal “piano A” quando questo non è perseguibile).
I suicidi, gli omicidi e i femminicidi vanno intesi come atti conseguenti all’estremo dolore provato per la disattesa di modelli assoluti (l’intensità del dolore, infatti, è sempre coerente con il grado di convinzione della credenza disattesa): l’estremo dolore e risentimento che ne derivano può indurre ad azioni estreme contro gli altri e contro se stessi, sia fuga dal dolore sia vendetta per il torto subito. Il vero killer, quindi è nella mente, nelle mappe “infestate da virus” con cui ancora oggi si gestiscono le relazioni e che si continuano a tramandare di generazione in generazione. È necessario attivarsi su più fronti per debellare l’analfabetismo psicologico, senz’altro divulgando “mappe mentali sane” attraverso le quali i genitori possano assicurare una base sicura ai loro figli e ideando efficaci occasioni di “bonifica dei virus” che infettano le mappe mentali della gran parte di persone. Bisognerebbe istituire la figura dello “psicologo di base” e rendere la figura dello psicoterapeuta fruibile a tutti: quando tutte le varie modalità a disposizione per liberarsi dal dolore non funzionano, il sistema principe cui bisogna ricorrere è infatti la psicoterapia, una strategia purtroppo ancora oggi solo di élite.
Antonella Baiocchi ( Psicoterapeuta specialista in criminologia, assessore alle Pari opportunità del Comune di San Benedetto del Tronto)
Avvenire.it, 25 maggio 2018