Il presidente dell’Ufficio federale tedesco per l’immigrazione e i rifugiati (Bamf), Jutta Cordt, è sempre più nella bufera. Una pioggia di critiche imperversa sul suo operato: lo scandalo delle richieste di asilo, concesse illegalmente e in cambio di denaro, ha superato i confini nazionali ed è impossibile da tenere a bada
Il presidente dell’Ufficio federale tedesco per l’immigrazione e i rifugiati (Bamf), Jutta Cordt, è sempre più nella bufera. Una pioggia di critiche imperversa sul suo operato: lo scandalo delle richieste di asilo, concesse illegalmente e in cambio di denaro, ha superato i confini nazionali ed è impossibile da tenere a bada ormai. Sarebbero almeno 1200 gli immigrati – ma pare che siano molti di più – che tra il 2013 e il 2016 avrebbero ottenuto il permesso di soggiorno a casa Merkel con estrema solerzia, e senza possedere alcuno dei requisiti richiesti per la validità.
Nell’estate 2014 Mohamad A., per esempio, ha ricevuto il “permesso d’asilo” presso l’ufficio distaccato dell’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati a Brema. Secondo quanto registrato dagli addetti ai lavori, l’uomo era un rifugiato siriano, sua sorella era stata uccisa “dagli scagnozzi del dittatore Assad” e solo un permesso in Germania avrebbe potuto sollevare le sorti del suo destino. Due anni dopo è emerso che Mohamad A. aveva mentito: il suo nome è in realtà Milad H. e viene dalla Romania. Sono una caterva i casi che assomigliano dannatamente a quest’ultimo: tutti manipolati dalla prima all’ultima riga.
Qualcuno giura che la poltrona della signora Cordt potrebbe saltare da un momento all’altro perché a conoscenza degli abusi degli uffici immigrazione di Brema da prima che la bolla esplodesse. Ma nel frattempo tutto tace e la Cord respinge le accuse, mentre salta fuori che anche il suo predecessore, il signor Frank-Jürgen Weise, fosse a conoscenza delle irregolarità già nel 2016. Dopo le pressioni del FDP e dell’AfD – i due partiti tedeschi di destra e da sempre strenui oppositori delle politiche immigratorie – il ministro dell’Interno Horst Seehofer ha finalmente dato il via libera all’inchiesta, sebbene l’ala sinistra del Bundestag si sia opposta preferendo, dicono, che le accuse contro il Bamf si risolvessero nelle stanze del parlamento e non fuori. Da qualche giorno, comunque, gli uffici per l’immigrazione e i rifugiati di Brema sono sospesi fino al completamento delle indagini e quindi nessun caso, nel frattempo, verrà loro affidato.
Lo scandalo è scoppiato a metà aprile sulla stampa tedesca, costretta per giorni a non cambiare la prima pagina, dopo che il servizio giudiziario di Brema aveva annunciato che un ex funzionario della sede in città del Bamf era sotto inchiesta, insieme a molti altri, e che la polizia aveva fatto irruzione nelle case e negli uffici dei sospettati. Eppure era da mesi che lo scandalo veniva tenuto sottobanco, mentre si inseguivano le denunce.
È a questo punto che nella vicenda si inserisce in maniera prepotente il ruolo giocato da Josefa Schmid, avvocato e funzionario federale a tempo pieno, che a gennaio 2018 era stata messa a capo degli uffici federali dell’immigrazione a Brema per sostituire il suo predecessore, sospeso per irregolarità nel riconoscimento di permessi d’asilo. Un paio di mesi tra le stanze dell’immigrazione tedesca, e la Schmid finisce col denunciare direttamente al Ministero dell’interno che almeno 3332 domande di asilo sono state trattate in modo improprio a Brema. Per Josefa Schmid tutte le responsabilità delle attività illegali sono da imputare al quartier generale del Bamf esprimendo, chiaramente, il sospetto che la sede centrale dell’ufficio federale tedesco per l’immigrazione fosse a conoscenza di ogni cosa. Dopo mesi in cui la signora Schmid ha provato ad attirare l’attenzione del ministro Seehofer, e dopo essere stata ignorata sfacciatamente, le è stato ordinato di raccogliere le sue cose e di trasferirsi in Baviera. Erano troppo forti i sospetti della signora circa la volontà delle autorità di Norimberga e di Berlino di coprire le denunce perché la Schmid rimanesse dov’era. Ma la donna non aveva alcuna intenzione di far cadere la cosa nel dimenticatoio. Senza perdersi d’animo, ha infatti presentato una denuncia al Tribunale amministrativo di Brema contro il suo trasferimento. Ed è la prima volta che il tribunale dovrà pronunciarsi su un simile caso. In ventuno pagine la Schmid ha sollevato accuse pesanti contro il Bamf e lamentato il suo trasferimento come qualcosa “che assomiglia alla vendetta”. Perché, detto ancor più esplicitamente, la cosa non doveva essere in alcun modo di dominio pubblico.
E intanto il Der Spiegel a inizio maggio riportava l’indiscrezione per cui a giugno scorso un altro funzionario della filiale della città anseatica aveva scritto alla sede centrale di Norimberga per sollecitare un intervento rispetto alle troppe anomalie sui permessi e che, come se non bastasse, già nel 2014 erano arrivate le prime indiscrezioni sulle procedure manipolate, ma tutto era stato accantonato, con cura, sotto il tappeto. L’Ufficio federale tedesco per i rifugiati e le migrazioni, comunque, adesso che il caso è finito in tribunale e in parlamento, sarà costretto ad esaminare oltre 25.000 decisioni in materia di asilo. E l’audit che il ministro Seehofer ha annunciato non riguarda solo un ex funzionario, ma anche tre avvocati, un interprete e un intermediario. Tutti sotto indagine con l’accusa anche di corruzione.
I tre avvocati avrebbero ricevuto le tangenti in contanti dai “rifugiati” da un po’ tutta la Germania e presentato poi le loro domande di asilo sempre e solo all’ufficio di Brema. All’interprete invece spettava l’incarico di riportare i colloqui – a cui gli immigrati sono chiamati prima di avviare le procedure – in modo tale che tutto potesse corrispondere ai requisiti in cambio di € 500 per richiedente asilo. Il Der Spiegel, inoltre, riporta che tra quanti hanno ricevuto l’asilo ci sono alcuni considerati potenziali rischi per la sicurezza secondo le autorità tedesche: jihadisti dello stato islamico, criminali ostinati, trafficanti di esseri umani.
In queste ora la Cordt ha dichiarato che una squadra di settanta revisori è al lavoro per rivalutare 18000 permessi di soggiorno rilasciati dal 2000 dalla filiale di Brema, mentre altri dieci uffici regionali stanno riesaminando altre 8500 decisioni. Eppure le mail interne del Bamf, intercettate e pubblicate dal Süddeutsche Zeitung, svelano che la Cordt e il resto dei funzionari avevano ricevuto informazioni su “casi sospetti” presso l’ufficio di Brema già a febbraio 2017, ma che le informazioni sono state tenute segrete perché, di là a qualche mese, ci sarebbero stato le elezioni tedesche. Ed infatti, appena un mese dopo la tornata elettorale, il 26 ottobre 2017 il BAMF apriva, in assoluto silenzio, un audit interno. Ad aprile il Bamf licenziava, sempre senza fare troppo rumore, oltre 2000 interpreti freelance perché “non sembravano neutrali o non erano affidabili”. E stando al Westdeutsche Allgemeine Zeitung la maggior parte degli interpreti assunti all’apice della crisi migratoria, nel 2015, furono assunti senza troppi controlli e che addirittura solo 620 dei 5800 interpreti siano “certificati”.
Nel frattempo, nove su dieci domande d’asilo respinte in Germania, finiscono in tribunale. E in oltre il 40% dei casi, i giudici finiscono con il ribaltare le decisioni a favore degli immigrati. I giudici si sono schierati con i richiedenti asilo dalla Siria nel 99,9% dei casi, gli afgani nel 47% e i turchi nel 34%. Solo nel 2017 davanti alle corti di Germania sono stati presentati 328.000 procedimenti – il doppio rispetto al 2016 – per ribaltare le decisioni di asilo negative dal Bamf. Alla fine del 2017 c’erano 372.000 richieste di soggiorno pendenti nei tribunali tedeschi. Le indagini saranno ancora in corso, ma la Germania delle porte aperte inizia a prestare il fianco a un po’ troppi scandali.
Lorenza Formicola
La Nuova Bussola Quotidiano, 25 maggio 2018