Sono trascorsi 50 anni dall’assassinio del leader democratico, lanciato verso la Casa Bianca dove avrebbe potuto riprendere l’azione riformatrice del fratello John. Pace, lotta alla povertà, diritti civili e uguaglianza, tutela dell’ambiente: sono alcune delle battaglie che gli costarono la vita.
In un’epoca in cui si parla molto di populismi, può essere salutare risalire alle radici del pensiero di un uomo che, appartenendo per censo, status e cultura all’élite, decise di schierarsi apertamente con il popolo: non per aizzarlo contro le istituzioni, ma anzi perché queste ultime si disponessero ad accoglierne le istanze, soprattutto quelle provenienti dalle fasce più deboli e svantaggiate.
Mezzo secolo fa (6 giugno 1968) Robert Francis Kennedy moriva assassinato mentre era proiettato verso la Casa Bianca, otto anni dopo l’elezione del fratello John. Ai travagli del suo tempo Bob Kennedy si accostò con un approccio più diretto rispetto a quello di Jfk.
Ne fa fede, per esempio, la sua posizione sui diritti civili della popolazione di colore: «Dobbiamo riconoscere l’assoluta uguaglianza di tutte le persone… Dobbiamo farlo non perché sia economicamente vantaggioso, per quanto lo sia; non perché così vogliono le leggi di Dio e dell’uomo, sebbene lo impongano… Dobbiamo farlo per un’unica e fondamentale ragione: perché è la cosa giusta da fare…».
Figlio di un multi-milionario, Bob Kennedy aveva però la sensibilità per affermare che «la guerra alla povertà rappresenta l’accettazione del principio secondo cui ogni americano deve avere le stesse opportunità di una vita serena per sé e per i suoi figli, le stesse opportunità di partecipare al governo della città, dello Stato e del Paese, le stesse opportunità di prendere parte alle grandi iniziative della vita pubblica americana».
Parlava e agiva in un contesto internazionale dominato dalla Guerra Fredda, ma aveva la lucidità sufficiente per guardare prima di tutto ai problemi interni:
«Non c’è alcun dubbio che la corruzione, la disonestà e le debolezze, fisiche e morali, si siano largamente diffuse in questo Paese. […] Per rispondere alla sfida dei nostri tempi… dobbiamo prima sconfiggere il nemico che abbiamo in casa».
Inizialmente sostenitore dell’intervento militare americano in Vietnam, ebbe il coraggio di cambiare idea: «Siamo come il Dio del Vecchio Testamento? Possiamo decidere a Washington quali città, quali villaggi, quali capanne saranno distrutti in Vietnam? Abbiamo l’autorità di uccidere decine e decine di migliaia di persone?». Un atteggiamento che lo aiutava a comprendere la contestazione dei giovani: «Aumenta il numero dei nostri figli che sono estraniati, alienati nel senso letterale della parola, praticamente sordi ai messaggi e alle argomentazioni del mondo della famiglia e degli adulti. E il primo compito di chi governa non è di condannare o castigare o deplorare, bensì di cercare il motivo della delusione e dell’alienazione, la ragione della protesta e del dissenso, magari per trarne qualche utile lezione».
Fa un certo effetto, nell’era del trumpiano «Make America great again», rileggere considerazioni di questo tipo: «Siamo sempre più un’isola di prosperità e di privilegio in un mondo di disperata povertà… L’eredità che lasceremo ai nostri figli va ben al di là dei nostri confini. L’elemento più importante di questa eredità sarà il ruolo e la posizione degli Stati Uniti nel mondo: in breve, se la gente guarderà a questo Paese con speranza oppure con odio, con emulazione o con invidia». Concetti poi mirabilmente richiamati nel citatissimo discorso sul Pil, che «non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».
Guardava avanti, Kennedy, addentrandosi anche in terreni poco esplorati come la tutela dell’ambiente: «Il carburante che ci dà l’elettricità, la benzina che fa marciare automobili, taxi e autobus, i due chili di cenere e di spazzatura che ognuno di noi getta ogni giorno nella città, e perfino i rifiuti buttati negli inceneritori dei nostri appartamenti, tutte queste cose si scaricano nell’aria che respiriamo».
Intuiva la necessità di una politica diversa («non è facile dire che nuove visioni devono sostituire le vecchie se vogliamo che la nostra vitalità si conservi e si rinnovi. Eppure dobbiamo essere determinati a farlo») e più vicina alle persone: «Dovremmo tentare di riportare la gente al calore della comunità, al valore dell’impegno individuale e della responsabilità, del lavorare insieme come membri di una comunità per migliorare la propria esistenza e il futuro dei propri figli».
Non parlava alla pancia della gente, Robert Kennedy. Parlava alla loro coscienza.
Mauro Colombo coautore, con Alberto Mattioli, del volume «Parola di Bob. Le ‘profezie’ di Robert F. Kennedy rilette e commentate dai protagonisti del nostro tempo»