Perché lo dimostrano i numeri, non è una sparata di Matteo Salvini, ministro dell’Interno: in Italia sono incarcerati il 70% degli immigrati tunisini di tutto il mondo, molti appartenevano agli 11mila galeotti usciti dalle carceri nel corso della rivoluzione. E sono fonte di disordini nei centri di accoglienza e nelle città di destinazione.
Tunisi ha espresso “profondo stupore” per le dichiarazioni del leader leghista e Ministro degli Interni, Matteo Salvini, che aveva evidenziato l’elevato numero di criminali presenti tra gli immigrati illegali in arrivo dalla Tunisia, “un paese libero e democratico che non sta esportando gentiluomini e che spesso e volentieri esporta galeotti”.
Il ministero degli Esteri tunisino ha sottolineato gli accordi bilaterali di cooperazione strategica nel campo della sicurezza affermando che le parole di Salvini “non riflettono la cooperazione tra i due paesi nel campo della gestione dell’immigrazione ed indicano una conoscenza incompleta dei meccanismi di coordinamento esistenti tra i servizi tunisini ed italiani”. Il deputato Mohamed Ben Souf ha ricordato l’accordo sui clandestini tunisini sottoscritto nel 2011 dal ministro leghista Roberto Maroni negando vi sia una relazione tra gli indulti che hanno scarcerato migliaia di criminali tunisini e i flussi verso l’Italia. “Qualcuno si è offeso in Tunisia sbagliando. Io, guardando i numeri, ho detto che arrivano persone perbene ma anche persone meno perbene” ha replicato Salvini aggiungendo di essere pronto a recarsi in Tunisia per migliorare la cooperazione bilaterale sul fronte immigrazione.
Lo scambio di battute si è allargato vivacemente al sempre caldo dibattito politico nazionale anche se il tentativo di portare la questione nei binari del linguaggio politicamente corretto è destinato a naufragare miseramente di fronte ai fatti concreti. I grandi flussi migratori illegali dalla Tunisia all’Italia hanno infatti sempre coinvolto un gran numero di avanzi di galera e coincidono regolarmente con l’uscita dal carcere di migliaia di detenuti. Il caso più eclatante riguarda i 24mila tunisini sbarcati nel 2011, durante la guerra in Libia ma in un contesto che nulla aveva a che fare con quel conflitto. Molti di essi appartenevano agli 11mila galeotti usciti dalle carceri durante la primavera di Tunisi e gli accordi successivi tra Roma e Tunisi impedirono di rimpatriarne un gran numero a cui venne dato un permesso di soggiorno temporaneo che consentì a molti clandestini di raggiungere altri Stati europei.
L’Italia pagò la Tunisia perchè frenasse i flussi, per creare lavoro nel paese nordafricano e per fornire motovedette ai tunisini che verranno impiegate più facilmente per intercettare arbitrariamente in acque internazionali i nostri pescherecci che per fermare i barconi dei migranti illegali. Anche gli ultimi flussi illegali dalla Tunisia hanno coinciso con ben due indulti decisi dal governo per svuotare carceri sovraffollate: del resto non è un caso che in Italia siano incarcerati quasi il 70% dei tunisini in prigione in tutto il mondo. I reati compiuti vanno dal furto all’aggressione, dalla rapina alla droga alla violenza sessuale. Del resto sono stati spesso i tunisini a devastare in più occasioni i centri d’accoglienza in Italia, soprattutto quello di Lampedusa, così come è tunisino uno dei più importanti racket della droga e prostituzione presenti in Italia. Oltre 2mila tunisini detenuti all’estero su un totale di 3.246 si trovano nelle prigioni italiane mentre in Francia, dove vivono più tunisini che in Italia, i carcerati di quella nazionalità sono poco più di 500. E non si tratta certo di dati di fonte “populista” ma diffusi nel giugno 2017 dalla Commissione dei tunisini all’estero.
Tra i criminali giunti in Italia dalla Tunisia occorre annoverare anche chissà quanti jihadisti e foreign fighters veterani delle guerre in Libia, Iraq e Siria sotto le bandiere del Califfato. Secondo fonti tunisine dei 15mila cittadini che hanno lasciato il Paese l’anno scorso ben un terzo lo hanno fatto senza lasciare tracce, probabilmente utilizzando gli “sbarchi fantasma” che trasportano di notte in Sicilia persone che evidentemente non intendono farsi registrare le generalità né prendere le impronte digitali dalle autorità di Roma. Difficile dare una dimensione del fenomeno e stabilire quanti degli sbarcati in questo modo sia un criminale, un jihadista, un terrorista come Anis Amri che fece strage al mercatino di Natale a Berlino, o solo un immigrato illegale. Di certo l’Interpol ha registrato l’arrivo in Italia attraverso questa rotta di almeno 50 “foreign fighters” solo tra luglio e ottobre 2017.
La Tunisia ha dato al Califfato oltre 6 mila combattenti ma un anno or sono degli 800 che risultavano rientrati nel paese meno di un quarto erano stati posti in carcere e, considerato l’approccio morbido della Ue nei confronti dei veterani del jihad basato sul loro “reinserimento nella società”, è plausibile che in molti cerchino di raggiungere l’Europa attraverso l’Italia. Un allarme lanciato più volte negli ultimi mesi anche dal ministro Marco Minniti del governo Gentiloni.
Che l’Italia sia il ricettacolo della feccia tunisina è quindi un dato di fatto testimoniato anche dalla cronaca quotidiana. Negarlo o fingere che non sia così non aiuterà a risolvere un problema che solo il blocco dell’accoglienza e il respingimento dei migranti illegali intercettati in mare potrà sanare.
Gianandrea Gaiani
La Nuova Bussola Quotidiano, 6 giugno 2018