“Di corrotto a Roma c’è la vita pubblica, la condotta sociale. Corruzione non è solo la tangente, ma il vivere civile: il linguaggio, la mentalità”. Lo sostiene il filosofo Vittorio V. Alberti, che aggiunge: “Oggi manca l’identità culturale e, se non c’è, significa che la società non ha una opinione pubblica educata e formata. Quando ciò manca, la corruzione non può che dilagare”. E ancora: “Non bisogna affidare tutto alla magistratura”.
“Dove non c’è cultura, dove non c’è senso di marcia della storia, chi fa interessi schiacciati sul presente sguazza, specie se gli intenti sono delinquenziali”. Il filosofo Vittorio V. Alberti entra nel merito dell’inchiesta della Procura di Roma che ha portato all’arresto di 9 persone nell’ambito delle procedure connesse alla realizzazione del nuovo stadio della Roma.
Si parla di “associazione per delinquere finalizzata alla commissione di condotte corruttive e di una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione”. È un male endemico di Roma?
È un male della nazione. A Roma assume tratti più inquietanti perché è la capitale ed è la città più popolata. Di corrotto a Roma c’è la vita pubblica, la condotta sociale. Corruzione non è solo la tangente, ma il vivere civile: il linguaggio, la mentalità. È l’educazione in senso latino, il trarre la libertà della persona. È la cultura ad essere corrotta a Roma.
In pochi sembrano ancora sorprendersi per fatti del genere.
È lo scenario classico. La cosa inquietante è che nessuno resti più stupefatto di queste notizie. Ormai ci aspetta tutto da tutti. Non c’è neanche più un moto di repulsione in grado di generare azioni sociali e politiche contrarie.
C’è anche il problema di una burocrazia troppo complicata?
La Procura della Repubblica sembra essere l’ultimo baluardo della legge a Roma, ormai da anni. Questo interpella due problemi: la natura delinquenziale dei protagonisti e lo stato in cui versano le nostre norme collettive. Non solo a Roma, ma ovunque, le norme sono farraginose e complicate tanto da spingere le persone a ricorrere a espedienti per il proprio tornaconto.
Che responsabilità ha la politica?
La corruzione c’è sempre stata a Roma, dove esiste una illegalità particolarmente forte. Ma è cambiata la natura politica. Oggi manca l’identità culturale e, se non c’è, significa che la società non ha una opinione pubblica educata e formata. Quando ciò manca, la corruzione non può che dilagare. E conseguentemente le mafie, che la usano come primario linguaggio.
La magistratura è diventata supplente della politica?
La Procura della Repubblica a Roma offre l’immagine di un’istituzione stabile, che obbedisce alla legge. Mentre l’azione della politica insegue il sondaggio: ci sono persone, di qualsiasi schieramento, che non hanno formazione politica. Non hanno coscienza politica: possono sostenere qualsiasi azione, in base ai sondaggi. Si mettono dietro le persone, non le dirigono.
Ma davvero l’azione della magistratura è l’unico strumento che abbiamo a disposizione nella lotta alla corruzione?
Non bisogna affidare tutto alla magistratura, perché quest’ultima arriva quando il reato è già commesso. Dobbiamo fare in modo che le persone non commettano il reato. È un problema profondamente culturale, che si iscrive nella crisi del nostro tempo. Durante l’inchiesta su Mafia capitale, ad esempio, mi aspettavo un dibattito tra intellettuali. Persone che approfondissero e coinvolgessero la coscienza dei cittadini. Ciò non è accaduto. Mi auguro possa succedere adesso, visto che si tratta di un argomento molto sentito a Roma. Siamo stufi di queste cose. Ma siamo abituati a dire che funziona così.
Oltre a essere la capitale d’Italia, Roma è la diocesi del Papa.
Non è più tempo di organizzare politicamente i cattolici, né di convertire in termini di legge positiva dello Stato i principi del Vangelo. Questo fosco periodo per fortuna ce lo stiamo lasciando alle spalle. Ma dovrebbe nascere un movimento culturale che dia nuovamente respiro all’azione culturale dei democratici.
Riccardo Benotti
SIR, 14 giugno 2018