Kelly Martinez, vendeva il suo ventre per “altruismo” e soldi ma poi scoprì che «era tutto legato ai soldi e non ai bambini». Addirittura una coppia «pagò di più per selezionare il sesso degli embrioni», quindi «si arrabbiò quando scoprì che erano maschi». Mentre due uomini francesi, per farsi chiamare entrambi papà, ingannarono il proprio Stato.Quello dell’utero in affitto non è solo un problema di sfruttamento delle donne e di un business che le rovina, ma di una mentalità malata e disperante alimentata da questa pratica. Basti pensare a quanto Kelly Martinez, 33 anni, del Sud Dakota, racconta nel documentario “#BigFertility”, prodotto dal Center for Bioethics and Culture Network.
Kelly, che per ben tre volte ha venduto il suo ventre a coppie di “committenti”, aveva 20 anni quando si avvicinò alle agenzie della compravendita di bambini che le promettevano grandi gioie «nell’aiutare altri ad avere una famiglia», ha spiegato Martinez ricordando la storia in cui solo alla fine scoprì che «era tutto legato ai soldi e non ai bambini». I bambini appunto, quelli che le coppie, di sesso diverso e non, o i single dicono invece di amare così tanto da essere disposti a pagare centinaia di dollari.
Eppure la terza volta che la donna affittò il suo utero si ritrovò a “lavorare” per due coniugi spagnoli che avevano richiesto esplicitamente una coppia di gemelli composta da un maschio e da una femmina. Quando però l’ecografia rivelò che i bimbi erano entrambi maschi, la coppia reagì con stizza e rabbia, come si farebbe nel caso della spesa onerosa di un bene di consumo scambiato erroneamente con un altro senza possibilità di rimborso: «Sapevano che avrebbero avuto un maschio e una femmina, perché avevano pagato di più per selezionare il sesso degli embrioni», quindi «si sono arrabbiati molto e mi hanno fatto ripetere l’ecografia varie volte», svelando il vero volto di quello che il mondo chiama amore di genitori disposti a tutto per un figlio.
La donna ricorda persino che «una volta gli ho chiesto se avevano scelto i nomi e lei ha risposto: no sono baby a e baby b». E quando a causa di alcune complicanze gravi fu ricoverata, partorendo alla 35esima settimana, la coppia la incolpò portando via i gemelli, di cui «non sappiamo più nulla…nemmeno se li hanno tenuti entrambi», lasciandole da pagare ingenti somme di denaro per le spese mediche. Ma, soldi a parte, è davvero possibile chiamare altruismo la volontà di avere a tutti i costi un bambino, producendolo secondo i propri tempi, gusti e modi per soddisfare le proprie aspirazioni o mancanze?
Bisognerebbe almeno avere il coraggio di chiederselo quando si legge che pur di portare a casa due bambini, che la natura non gli avrebbe mai potuto dare, due uomini francesi che volevano farsi chiamare entrambi papà (sebbene uno dei due non lo sarà mai), hanno ingannato il proprio Stato. Sì, perché la prima volta che Martinez portò due gemelli in grembo a pagamento, dopo il parto fu costretta a dire di essere la loro madre naturale sposata con un altro uomo, che per salvare il suo matrimonio avrebbe rinunciato alla loro custodia rispedendoli in Francia con il padre (uno dei due uomini). Fu l’agenzia a chiederle di partire per Chicago dove avrebbe ottenuto il passaporto per i piccoli. Il giorno dopo la donna, senza assistenza legale né traduttore, firmò quindi sette pagine in francese non sapendo cosa ci fosse scritto (non ne ha mai avuta una copia), di fronte al personale del consolato che rideva con l’uomo mentre lei non capiva cosa si stessero dicendo.
La cosa incredibile è che dopo questa prima esperienza Martinez andò in crisi fino a doversi sottoporre a cure psicologiche, che paradossalmente la portarono alla seconda esperienza di vendita del proprio utero, a causa della sua terapeuta che le propose si ripetere un’ esperienza simile per superare il trauma della prima: «È nata una bambina bellissima, però poi loro hanno divorziato e sono finiti in tribunale per la custodia della piccola. Mi si spezza il cuore perché io l’ho fatta nascere e se non fosse per me non sarebbe in questa situazione».
Certo, bisogna poi aggiungere che ad accrescere la cultura del “bambino oggetto” degli adulti, pagato profumatamente (centinaia di dollari), Kelly alla terza gravidanza ha cominciato ad accusare i colpi di un procedimento che può perfino uccidere le donne. Martinez ha sottolineato che «mi sono ammalata, ho preso 9 chili in una settimana. Avevo i piedi gonfi…non riuscivo a infilarmi le scarpe. Non potevo respirare, il mio fegato era in sofferenza e anche i reni. La donna chiese all’agenzia se poteva morire e la risposta secca fu: «Sono casi rari». Ma purtroppo è difficile sorprendersi se questo è uno dei rischi messi in conto da un mondo che vive sulla pelle degli innocenti per milioni di dollari. Anche perché, oltre ai nati dall’utero in affitto, ci sono anche i bombardamenti ormonali sulle donne per ottenere gli ovociti e la successiva inseminazione e selezione degli embrioni in laboratorio dove tanti sono congelati, muoiono o vengono scartati e quindi uccisi.
Ovviamente tutto viene invece presentato come carità dove si guadagna tanto facendo poco, se non dare felicità alle coppie infelici: «Mi motivava il fatto che mi pagassero per fare qualcosa che mi piaceva e che mi si addiceva», ha raccontato Martinez l’anno scorso alla Stop Surrogacy Now di New York, confessando di credere di essere una donna generosa.
Oggi Martinez è in causa perché oltre ad aver subito ingiustizie da parte delle coppie che l’hanno contattata e delle agenzie, si trova a dover pagare ingenti spese che la coppia di spagnoli non volle più pagare. Perciò si batte parlando anche in sedi internazionali come il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, dove ha dichiarato: «A me hanno mentito. Per questo oggi parlo. Voglio avvisare le altre. Se solo potessi tornare indietro…».
Benedetta Frigerio
La Nuova Bussola Quotidiano, 26 giugno 2018